La Terapia della Bambola

La terapia della bambola ( o doll therapy) è una terapia NON-FARMACOLOGICA per la gestione dei sintomi comportamentali della demenza senile. Tale terapia risulta efficace in quanto attiva i sistemi di accudimento ed esplorazione. Le terapie non farmacologiche consistono in interventi che influenzano la sfera cognitiva, comportamentale, relazionale ed emotiva in pazienti sani (come prevenzione) o con demenza da grado lieve a severo.

La Terapia della Bambola è nata in Svezia verso la fine degli anni ‘90 dall’idea di Britt Marie Egedius Jakobsson, psicoterapeuta, che l’aveva pensata per stimolare l’empatia e le emozioni del proprio figlio affetto da autismo.
Questo metodo di cura propone la bambola come oggetto simbolico che dà benefici ai pazienti: la tesi della terapista svedese è che il rapporto che si instaura tra gli individui interessati e la bambola, stimoli l’attività fisica e creativa, agevoli l’espressione dei sentimenti e possa alleviare la depressione. Oggi la bambola “Empathy doll” viene utilizzata come vero e proprio strumento terapeutico, in quanto, grazie alle sue caratteristiche particolari (distribuzione del peso, dimensioni, tessuto morbido, sguardo, capelli sbarazzini, posizione di braccia e gambe, dimensioni e tratti somatici), favorisce l’accudimento attivo da parte dell’anziano con grave decadimento cognitivo e la diminuzione di alcuni disturbi comportamentali. La bambola empatica è diventata così una risorsa nell’affrontare alcune situazioni problematiche che possono presentarsi durante la malattia.
L’efficacia della doll therapy è dovuta al fatto che gli anziani con grave deterioramento cognitivo non sono in grado di differenziare il reale dall’immaginario e considerano la bambola un bambino reale, su cui riversare il proprio affetto. Se infatti le capacità cognitive sono deteriorate, la capacità di ricordare e di emozionarsi per situazioni fissate nella memoria remota è conservata.

L’ipotesi alla base del suo funzionamento è che l’esperienza emozionale della persona esposta a sedute di terapia della bambola, attivi i sistemi di accudimento e di esplorazione. In altre parole l’applicazione della terapia della bambola migliora la dimensione affettiva e relazionale di attaccamento/accudimento e la dimensione attentiva nel comportamento di esplorazione, nei pazienti con una demenza di grado avanzato.
La letteratura inoltre conferma che l’uso della terapia della bambola promuove miglioramenti significativi della capacità di relazione con il mondo circostante. Ne risentono positivamente anche le modalità di relazione pre-verbali e non verbali, con una conseguente riattivazione delle relazioni con gli altri ospiti e operatori.
Grazie alla sollecitazione della memoria procedurale, tramite i gesti di cura come la vestizione, il cambio di abiti o ancora attraverso le azioni del cullare o dell’alimentare, possono anche migliorare le condotte di auto-assistenza e cura personale, messe in atto dalla persona.

Nella mia esperienza quotidiana professionale ho potuto constatare che, nei pazienti medio-gravi con disurbi comportamentali evidenti, questa terapia aiuta a gestire gravi sintomi come l’agitazione, la confusione, l’aggressività fisica e verbale, l’insonnia, gli sbalzi di umore, l’oppositivitá, l’apatia, l’anedonia, il wandering, l’affaccendamento afinalistico. Al contempo ho notato miglioramenti nella contattabilità, nel tono dell’umore e nella motivazione all’attivitá. Ho osservato che gli ospiti cui è consegnata la bambola la accolgono con entusiasmo ed emozione, con baci, abbracci, cullandola al petto, accarezzandole il viso e toccandole le manine ecc., e, chi può parlandole. Il contatto con la bambola favorisce il rilassamento, riducendo o eliminando la sintomatologia ansiosa e provoca un senso di benessere nei soggetti con depressione. Nell’ospite con wandering determina un incremento dei momenti di pausa, necessari all’accudimento della “bambina”; nell’ospite apatico ristimola l’interesse per un oggetto esterno.

Mi permetto inoltre di aggiungere che questi benefici vengono raggiunti con qualsiasi bambola che abbia sembianze da neonato, senza per forza dover far riferimento alle bambole specifiche create per l’Alzheimer.

Alcuni consigli per approcciarsi a questa terapia non-farmacologica :

  • Non chiamarla semplicemente bambola, soprattutto se il tuo caro le ha trovato un nome proprio. Rispetta la sua scelta.
  • Procurati una culla o un lettino per farla dormire.
  • Non scegliere una bambola che piange o con gli occhi chiusi può creare agitazione nell’anziano, meglio evitare questa tipologia.
  • Non forzare il tuo caro ad interagire con la bambola ad ogni costo, rispetta i suoi tempi e i suoi spazi.
  • Una volta che la bambola è stata accettata nella vita dell’anziano, non deve essergli portata via senza la sua approvazione.
  • Se la bambola viene considerata come un bambino in carne ed ossa, bisogna fare attenzione a dove viene riposta, per non urtare la sensibilità dell’anziano. Evitare di lasciarla in qualunque posto che sarebbe inadatto per un bambino. Scegliere sempre un posto sicuro, meglio se scelto dall’anziano.
  • Condividi i precedenti punti con tutte le persone che si occupano della persona.

Se qualcuno volesse approfondire le ricerche fatte al riguardo metto qui di seguito un paio di riferimenti:

  • Braden, Gaspar (2015)
  • Pezzati R. E collaboratori (2014)

Lavorare con il paziente fragile. Le 6+1 regole d’oro.

  1. Attenzione alle emozioni: il fine ultimo è sempre il benessere complessivo della persona, quindi l’attenzione deve sempre rivolta a ciò che il paziente prova in quel momento e a farlo stare bene.
  2. Rinforzare e rinforzare ancora: è importante elogiare sempre ciò che viene fatto, riconoscendo anche il più impercettibile aspetto positivo, senza rimarcare gli immancabili errori. Sta all’abilità dell’educatore “rigirare la frittata” e trasformare ogni piccolo passaggio in un successo.
  3. Osservare e ascoltare: è importantissimo conoscere a fondo la persona da aiutare, per conoscere le sue attitudini, le predisposizioni, le abitudini, i gusti, passati e attuali, così da calibrare i progetti e le attività.
  4. Non è un dovere: la persona malata non deve essere obbligata a seguire le nostre richieste, ma è necessario conoscere bene chi si ha davanti e sapere come motivarlo a lavorare insieme. E’ importante sempre rendere il tutto un’attività piacevole e, perchè no, divertente. La stimolazione cognitiva non è fare i compiti o sostenere un esame.
  5. L’importante non è il risultato: Siamo educatori, non professori. Non dobbiamo ottenere buoni voti e ottimi risultati, ma creare un clima relazionale favorevole ad incoraggiare dei processi cognitivi stimolanti.
  6. Attenzione al tempo: durante il percorso il tempo deve essere il tempo del malato. E’ importante osservare la persona e rispettarlo in quello che è il suo ritmo attuale. Non bisogna avere aspettative troppo alte, ma realistiche, in quanto l’attenzione del paziente con demenza è molto labile.

+ 1. NON LO FA APPOSTA! questa frase devono ripetersela ogni minuto tutte le persone che si occupano di persone con un deterioramento cognitivo o demenza. Ricordiamoci sempre che le cellule cerebrali sono realmente compromesse, quindi il paziente realmente non riesce a fare quella cosa oppure ha quel disturbo del comportamento. Potendo scegliere sicuramente farebbe da sè o farebbe altro! Armiamoci quindi di comprensione e pazienza e proviamo a metterci anche solo per un minuto al posto suo.

L’Alzheimer e la memoria.

Il primo sintomo dell’Alzheimer è la perdita di memoria.

Ma tale perdita come si manifesta? Quale memoria? Si parla di memoria o di memorie?

Di seguito troverete una breve descrizione orientativa dei diversi tipi di memoria con esempi di esercizi per stimolarla e di come la malattia di Alzheimer impatti su di essa.

MEMORIA A BREVE TERMINE (MBT): è la memoria che trattiene le informazioni per un limitato periodo di tempo e immagazzina un flusso limitato di informazioni (al massimo 7 o 8 per volta). E’ la memoria che ci aiuta ad assolvere dei compiti nel breve termine ed una volta effettuati l’informazione può essere eliminata, nel caso non fosse ritenuta importante. In caso contrario, viene immagazzinata nella memoria a lungo termine.

MEMORIA A LUNGO TERMINE (MLT): immagazzina e recupera informazioni lontane nel tempo e ha una capacità molto ampia. Può essere:

  • esplicita o dichiarativa (memoria del sapere), che comprende: memoria semantica (le nostre conoscenze); memoria episodica e autobiografica (eventi specifici con riferimento temporale e ricordi ricchi di significato); memoria prospettica (programmare un’azione nel futuro).

ESERCIZI UTILI: esercizi per l’orientamento temporale e spaziale, esercizi per il linguaggio, esercizi per l’attenzione e la percezione, ricordi autobiografici…

  • implicita o non dichiarativa (memoria del fare), che comprende: memoria procedurale (comportamenti automatici finalizzati); memoria condizionata (associazione tra stimolo ambientale e una nostra azione).

ESERCIZI UTILI: stimolazione nell’ambiente di vita, a casa propria (cucinare, pulire la casa, riordinare, apparecchiare, prendersi cura dei fiori) e fuori casa (fare la spesa, andare a messa, fare piccoli acquisti, andare a trovare un amico o un parente, andare ad un evento del proprio paese).

Nel malato di Alzheimer la funzione mnestica più precocemente compromessa è la memoria a breve termine. Solo più tardi il deficit si estende alla memoria a lungo termine, influenzando in particolare la memoria episodica e autobiografica. Resta attiva fino ad uno stadio più avanzato invece la memoria semantica. L‘ultima ad essere compromessa è infine la memoria procedurale.

Attraverso la STIMOLAZIONE COGNITIVA è possibile sollecitare e potenziare le diverse funzioni della memoria, proteggendo quindi le cellule ancora attive e favorendo le connessioni neuronali. E’ importante diversificare gli esercizi per stimolare i diversi tipi di memoria e conservare le sequenze di comportamenti utili agli obiettivi della persona.

Cos’è la DEMENZA? O meglio parlare di Demenze?

LA DEMENZA è una sindrome, cioè un insieme di sintomi, che provoca un decadimento cognitivo rispetto a diverse aree:

  • memoria,
  • linguaggio,
  • orientamento spazio temporale,
  • attenzione e programmazione
  • funzioni motorie
  • ragionamento
  • compromissione della persona in molti campi della vita quotidiana, delle relazioni sociali e familiari
  • alterazioni della personalità e disturbi del comportamento

La demenza rappresenta una delle emergenze sanitarie del prossimo futuro. Le terapie farmacologiche attualmente disponibili non sono in grado di bloccare definitivamente i processi degenerativi. Per questo sono necessarie diverse strategie e strumenti terapeutici per rallentare i sintomi di questa malattia.

Negli ultimi anni sono stati messi a punto diversi modelli riabilitativi che possono essere raggruppati sotto il nome di stimolazione cognitiva, tra i molti troviamo la ROT, la Terapia della Validazione, il training cognitivo, la terapia occupazionale.

La stimolazione cognitiva è una valida risposta a tale sindrome, in quanto aiuta a preservare le funzioni residue e a rallentarne il decadimento.

La demenza può essere causata da diverse malattie. Tra le più frequenti ci sono: la malattia di Alzheimer, la malattia di Creutzfeldt-Jakob, la malattia a corpi di Lewy, la malattia di Pick, la demenza vascolare. Esistono, inoltre, alcune condizioni trattabili e potenzialmente reversibili che causano la demenza: depressione, disfunzioni della tiroide, intossicazione da farmaci, tumore, idrocefalo normoteso, ematoma subdurale, infezioni, alcune deficienze vitaminiche. Queste, se sono diagnosticate in modo tempestivo, possono essere trattate efficacemente. E’ indispensabile pertanto che tutte le persone con deficit mnemonico o confusione siano sottoposte ad accurato accertamento medico.

Farò adesso una breve panoramica sulle pricipali malattie che provocano la Demenza:

Malattia di Alzheimer. La malattia di Alzheimer è la più comune causa di demenza. Tra il 50 e il 70% delle persone affette da demenza soffrono di malattia di Alzheimer. Si tratta di un processo degenerativo cerebrale che provoca un declino progressivo e globale delle funzioni intellettive associato ad un deterioramento della personalità, della vita relazionale delle abilità quotidiane. Può durare tra gli 8 e i 15 anni. La malattia di Alzheimer colpisce circa il 5 % delle persone con 60 o più anni.

I sintomi principali:

  • perdita significativa della memoria (amnesia);
  • cambiamenti di comportamento e alterazione della personalità;
  • perdita di iniziativa e di interesse;
  • problemi di linguaggio ( afasia);
  • confusione;
  • perdita di orientamento nello spazio e nel tempo;
  • incapacità a riconoscere persone, cose e luoghi (agnosia);
  • incapacità a compiere gli atti quotidiani della vita – lavarsi, vestirsi, mangiare (aprassia);
  • deliri e/o allucinazioni;
  • con il tempo insorge una totale dipendenza da chi assiste

Demenza frontale o Malattia di Pick:
La malattia di Pick, a differenza della malattia di Alzheimer che colpisce molte aree del cervello, è una demenza progressiva che colpisce aree specifiche: i lobi frontali e temporali. In alcuni casi le cellule del cervello si restringono o muoiono; in altri si ingrossano e contengono i “corpi di Pick”. In entrambe le situazioni questi cambiamenti influiscono sul
comportamento del malato. La malattia di Pick viene chiamata anche: Demenza frontotemporale, Demenza del lobo frontale o Afasia primaria progressiva. Poichè la lesione avviene nelle aree frontali e temporali del cervello.
La malattia di Pick colpisce sia uomini che donne; ha generalmente inizio
tra i 50 e i 60 anni di età, e ha una durata media di 6-8 anni. Si sa poco delle cause e i fattori di rischio devono ancora essere identificati.

Tra i sintomi:

  • inizialmente i sintomi coinvolgono sia il comportamento che il linguaggio (balbuzie, ecolalie);
  • cambiamenti nella personalità dell’individuo, che può diventare sgarbato, arrogante, disinibito,comportarsi in modo socialmente sconveniente ;
  • Perdita di interesse per la propria igiene personale;
  • difficoltà nell’attenzione e nella concentrazione;
  • ripetitività e stereotipie motorie;
  • difficoltà nella lettura e nella scrittura;
  • Diversamente dal malato di Alzheimer, chi è affetto dalla malattia di Pick è orientato nel tempo e conserva la memoria nelle prime fasi. Negli stadi avanzati di malattia si presentano i sintomi generali della demenza, come confusione e perdita di memoria e vengono perse le
    capacità motorie.

Malattia da corpi di Lewy:
è una forma di demenza progressiva caratterizzata dalla presenza di strutture anormali nelle cellule del cervello chiamate “corpi di Lewy” (la malattia fu scoperta nel 1912 da F.H.Levi, il cui nome divenne “Lewy” nella traduzione dal tedesco). Queste strutture sono distribuite in varie aree del cervello e sono composte in gran parte da una proteina chiamata alfa-sinucleina, il cui meccanismo di formazione è sconosciuto.
Diversamente dalla malattia di Alzheimer in cui i neuroni muoiono, nella malattia a corpi di Lewy solo il 10-15% dei neuroni scompare e i rimanenti non funzionano.
E’ la seconda più comune causa di demenza negli anziani (15-20% di tutte le demenze). Il decorso è rapido. I problemi di memoria possono essere assenti nelle fasi iniziali. La malattia colpisce sia uomini che donne; non se ne conosce la causa e non sono stati identificati fattori di rischio. Attualmente non esiste una terapia risolutiva.

Sintomi:

  • progressiva perdita di memoria, linguaggio, ragionamento;
  • può essere depresso e ansioso;
  • confusione;
  • Sono comuni le allucinazioni visive ;
  • rigidità, tremori, movimenti scoordinati


La demenza multi-infartuale (MID) o demenza vascolare è un deterioramento delle capacità mentali causato da un singolo ictus o da ictus multipli (infarti) al cervello. L’ictus è causato da mancanza di afflusso di sangue in un’area del cervello. Può essere grande o piccolo e
ictus multipli possono avere un effetto cumulativo. Possono alterare la capacità di movimento, causare debolezza in un braccio o una gamba, difficoltà di parola o esplosioni emotive. L’inizio della MID può essere improvviso poichè possono verificarsi molti infarti prima che appaiano dei sintomi. Il decorso può essere discontinuo; le capacità possono
deteriorarsi, poi stabilizzarsi per un certo periodo e deteriorarsi nuovamente. Questi infarti possono danneggiare aree del cervello responsabili di una funzione specifica (ad esempio il linguaggio o la memoria) oppure produrre dei sintomi generalizzati di demenza. Dopo la
malattia di Alzheimer la MID è la seconda causa di demenza. Spesso esiste insieme alla malattia di Alzheimer e viene chiamata “demenza mista”. Colpisce sia uomini che donne.
Fattori di rischio sono: età (al di sopra dei 65 anni), ipertensione, malattie cardiache, diabete, fumo, sovrappeso, alti livelli di colesterolo e una
storia familiare di problemi cardiocircolatori possono aumentare il rischio di ictus, e quindi aumentare il rischio di MID.

Malattia di Parkinson
La malattia di Parkinson (PD) è un disordine progressivo del sistema nervoso centrale, è una malattia neurodegenerativa, ad evoluzione lenta ma progressiva, che coinvolge, principalmente, alcune funzioni quali il controllo dei movimenti e dell’equilibrio. I malati di Parkinson mancano della sostanza dopamina che è importante per il controllo dell’attività muscolare da parte del sistema nervoso centrale. Nel corso della malattia, alcuni pazienti sviluppano demenza e talvolta malattia di Alzheimer. Alcuni farmaci vengono usati per migliorare i sintomi di diminuito movimento nei pazienti PD, ma non correggono le alterazioni mentali.

Sintomi:

  • tremori a riposo,
  • rigidità agli arti ed alle articolazioni,
  • difficoltà di parola, voce flebile
  • postura curva e difficoltà ad iniziare i movimenti fisici,
  • difficoltà nella deglutizione

Esistono anche altre malattie che causano la demenza: Demenza alcolica, Malattia di Binswanger, Malattia di Creutzfeldt-Jacob, Corea di Huntington, Depressione grave, Trauma cranico, Emorragie cerebrali, Tumori cerebrali….